“Il Socialismo non deve mai dimenticarsi della sua origine, del suo compito di difendere sempre i più deboli”.


In queste parole, pronunciate quando già era anziano sta la “summa” del pensiero politico di Francesco De Martino, padre nobile della Repubblica italiana e figura storica del Socialismo, della sinistra e del movimento operaio.

 
 
Francesco De Martino

Francesco De Martino nasce a Napoli nel 1907 e, laureatosi in giurisprudenza fa il tirocinio da avvocato nello studio di Enrico De Nicola, già Presidente della Camera ed esponente di spicco dell’Italia liberale. Nello studio di DE NICOLA, De Martino lavora fianco a fianco con Giovanni Leone, altra futura personalità della Repubblica Italiana. Le strade dei due si incontreranno di nuovo nel 1972, in occasione dell’elezione del nuovo Capo dello Stato: Leone, votato dal centrodestra con l’appoggio determinante del Movimento Sociale di Giorgio Almirante è eletto al Quirinale, mentre De Martino raccoglie i voti di tutta la sinistra comunista e socialista.
Antifascista storico, De Martino partecipa alle proteste contro il regime e, come molti fra i giovani democratici dell’epoca, chiede una linea meno isolazionista rispetto all’Aventino. Negli anni della dittatura si dedica agli studi universitari con un saggio sulla libertà nel diritto romano. Suona come una dura critica, quest’inno ai diritti dell’individuo, alla dittatura fascista e, soprattutto al nazismo appena arrivato al potere in Germania. Vince la cattedra di diritto romano all’Università di Napoli e inizia la carriera d’insegnamento, un’esperienza che durerà per quarant’anni facendone uno dei massimi esperti di storia del diritto romano. Nozioni e conoscenze che non lo abbandoneranno mai nemmeno nella sua attività di politico che inizia subito dopo la Liberazione.

La sua militanza politica attiva inizia nel Partito d’Azione e si basa sul tentativo di coniugare libertà, democrazia e giustizia sociale. Frutto dello studio e dell’impegno, il progetto di cui De Martino si fa portavoce si basa sulla speranza di unire tutta la sinistra, dalle componenti liberaldemocratiche ai comunisti ai quali, pur condividendone l’attività politica e sindacale in materia economica e di allargamento della partecipazione politica nazionale, non risparmi critiche per gli errori e le violenze perpetuate da Stalin in Unione Sovietica. Dopo lo scioglimento del Partito d’Azione, mentre Ugo La Malfa e Ferruccio Parri confluiscono nel Partito Repubblicano Italiano, il professore napoletano aderisce al Partito Socialista Italiano, dove ritrova molti ex azionisti suoi antichi compagni di partito come Emilio Lussu e Riccardo Lombardi. Non passa un anno che una nuova scissione divide la sinistra italiana. a Roma nel 1947 Giuseppe Saragat fonda il Partito Socialista Lavoratori Italiani (Psli), poi Partito Socialdemocratico (Psdi) che collabora al governo con i moderati della Dc, del Pri e del Pli. Saragat rompe il Psi in polemica con il gruppo dirigente guidato da Pietro Nenni, accusato di avere legami troppo stretti con il Pci di Togliatti.

F. De Martino - A. Moro - P. Nenni - R. Lombardi

De Martino rimane nel Psi e il 18 aprile 1948 viene eletto deputato nelle liste del Fronte Democratico Popolare, la lista comune tra comunisti e socialisti presentatisi uniti sotto il simbolo della faccia di Garibaldi su richiesta di Nenni e duramente sconfitti dalla Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi. Saragat, presentatosi con una lista comprendente socialdemocratici ed ex azionisti come Piero Calamandrei da nome Unità socialista, ottiene un buon 7 %, massimo storico mai raggiunto dal Psdi.

La storia di De Martino segue quella di Nenni e del Psi. Stretto collaboratore del leader socialista ne è vicesegretario e ne condivide la svolta a favore della collaborazione con la Dc di Fanfani e Moro e il Pri di La Malfa ai tempi del centrosinistra degli ’60. Nel I governo Moro del 1963 Nenni è vicepresidente e De Martino lo sostituisce alla segreteria del Psi. Apertura ai comunisti, necessità di riunificare tutta la sinistra, collaborazione con la sinistra Dc e le parti avanzate del pensiero laico. Sono queste le tappe e le ambizioni del segretario De Martino. Gli anni della riunificazione socialista che vedono Psi e Psdi convivere sotto lo steso tetto per tre anni dal 1966 al 1969 lo vedono in prima linea come uno dei due cosegretari (l’altro è il socialdemocratico Tanassi) del Psu, il “partito della bicicletta” per via del simbolo che vedeva affiancati come le ruote di una bicicletta i due simboli dei due partiti socialisti italiani.

Non solo politica attiva, ma anche tanta attività teorica e intellettuale. Il pensiero socialista, che De Martino vede come pungolo al Pci, ma indissolubile dalla collaborazione con i comunisti, mentre gli ex socialdemocratici intendono come terza via tra democristiani e socialisti, ma in netta concorrenza con questi ultimi, si manifesta su “Mondo Operaio”, rivista fortemente influenzata e orientata dallo stesso De Martino. Giuseppe Tamburrano, Federico Coen e Francesco Forte rappresentano solo alcuni degli intellettuali che scrivono sulla rivista che è la vera e propria vetrina dell’intelligenza socialista degli anni ’60.

Enrico Berlinguer - Francesco De Martino

Il fallimento della riunificazione, la nuova scissione del 1969 e il ’68 influiscono duramente sul socialismo italiano. De Martino guida il Psi in questi difficili anni e nel 1968 è vicepresidente del Consiglio nei governo RUMOR. Lo rimane fino al 1972 quando, usciti i socialisti dal governo per la svolta di centrodestra rappresentata dal governo Andreotti-Malagodi (Dc-Pli, con l’appoggio esterno del Psdi). I socialisti tornano ben presto al governo con due governi Rumor e De Martino è ancora alla guida del Psi. Nel 1975, con la sua richiesta di “equilibri più avanzati” fa entrare in crisi il governo IV governo Moro, spianando la strada alle elezioni anticipate del 1976 vinte dal Pci che supera il 35% dei voti e non perse dalla Dc di Zac (Benigno Zaccagnini, di Ravenna, eletto alla segreteria nel 1975 dopo la defenestrazione di Fanfani sconfitto sul referendum sul divorzio nel 1974 e sconfitto alle regionali del 1975 che videro la grande avanzata dei comunisti di Berlinguer) che recupera dopo la disfatta dell’anno prima. Il Psi per la prima volta è sotto il 10%.

Il 13 luglio 1976 a Roma al “congresso del Midas”, dentro il comitato centrale avviene la “rivolta dei quarantenni” che induce De Martino a dimettersi. Bettino Craxi prende la guida del partito defenestrando la vecchia guardia legata al professore. (la foto a lato è eloquente: il quasi settantenne segretario del Partito, si allontana con un’aria amareggiata lasciando la poltrona e il microfono al quarantunenne Craxi). Inizia il craxismo, rappresentato dall’arrembaggio e dall’arroganza del suo leader che, forte del fatto di essere l’ago della bilancia tra Dc e Pci, avrà un ruolo di regolo nella politica italiana con potere e ruolo di molto superiore ai voti (sempre sotto il 15%) raccolti. La fine del Psi corrisponderà, nei primi anni ’90 con la parabola umana, politica e giudiziaria dello stesso Craxi. “Vidi che c’era stata una mutazione genetica”. Così De Martino ha sempre ricordato il craxismo contro il quale si è sempre battuto e caratterizzato dallo scontro con il Pci di Berlinguer e l’alleanza con la parte destra della Dc (Piccoli prima, Forlani e Andreotti poi). Sostenitore della necessità di un rapporto con i comunisti nel 1983 accetta la ricandidatura al Senato solo in una lista congiunta Pci-Psi. Nel 1987, a fronte dell’impossibilità di una riedizione dell’esperimento, rinuncerà ad un collegio sicuro offertogli da Craxi e resterà fuori dal Parlamento. Nel 1991 il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga lo nomina Senatore a vita. Aderisce al gruppo del Psi e poi a quello Socialisti-Laburisti e poi a quello dei Democratici di Sinistra.

F. De Martino e B. Craxi al Midas

Francesco De Martino fu anche un grande intellettuale e un attento meridionalista. A Napoli, negli anni ’50-’60 si struttura una parte importante del pensiero meridionalista fortemente influenzato dalla “Questione meridionale” di Antonio Gramsci e cresciuta nell’analisi del pensiero di un conservatore come Giustino Fortunato. Una scuola che raccoglie comunisti come Giorgio Amendola, Giorgio Napolitano, Maurizio Valenzi (futuro sindaco della città nel 1975), un repubblicano come Francesco Compagna e, appunto, un acuto professore socialista come Francesco De Martino. Li accomunava una critica ai ritardi strutturali del nostro sud e sulla necessità che il meridione trovasse in se stesso le risorse intellettuali, intellettive e umane per crescere e progredire.

Negli ultimi anni, di fronte alle difficoltà, alle vittorie (nella sua Napoli rappresentata dalla “buona amministrazione” di Antonio Bassolino) e alle sconfitte della sinistra De Martino ha sempre cercato l’unità, invitando tutti gli eredi del movimento operaio a riunirsi in un solo grande partito. Quella che un comunista come Berlinguer chiamava “unità nella diversità”, doveva, per citare un socialista come Nenni. “far andare avanti chi la storia ha condannato a restare indietro”.
Di fronte alle difficoltà e alle sfide di un mondo sempre più complesso e più ingiusto, De Martino invocava “un nuovo Marx”, capace di portare a sintesi i problemi e dare risposte sempre con l’occhio attento e rivolto ai più deboli.
È morto a Napoli il 19 novembre del 2002 all’età di 95 anni tra il cordoglio di tutto il mondo politico.

Francesco De Martino durante un comizio

fonte: da socialismo italiano 1891 – a cura di Luca Molinari